Nel Brasile di Bolsonaro: aborto negato a bambina di 11 anni vittima di stupro

La destra transnazionale che vuole oscurare i diritti civili delle democrazie liberali.

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L’aborto, in alcuni paesi, è un tema estremamente controverso.

Qualche anno fa, aveva fatto scalpore in Brasile la storia di una bambina di 10 anni rimasta incinta dopo aver subito abusi sessuali dallo zio. Ma la cosa scioccante è che non è questa la parte più drammatica della vicenda: la bambina ha infatti rischiato di non poter accedere alla procedura d’interruzione di gravidanza volontaria.

Gli aborti negati alle bambine in Brasile

Ai tempi, l’associazione Sangra Coletiva aveva avviato una campagna online utilizzando l’hashtag #GravidezAos10Mata – “Una gravidanza a 10 anni uccide” – per supportare la vittima di questa riprovevole vicenda.

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Sebbene quest’ultima sia infatti – alla fine – riuscita a interrompere la gravidanza (non senza subire il pesante fardello dell’opinione pubblica), il mondo aveva criticato gli esponenti di estrema destra che avevano in tutti i modi cercato d’impedire che ciò accadesse.

Oggi, la storia si ripete. Proprio a fine giugno, un’indagine dall’”Intercept Brazil” e il sito web Portal Catarinas ha rilevato una vicenda simile che – anche questa volta – coinvolgeva una bambina di 11 anni.

Questa volta, tuttavia, l’epilogo è stato ancora più amaro: non solo Marisol (nome di fantasia) non ha potuto accedere all’interruzione di gravidanza volontaria fin da subito, ma è anche stata separata da sua madre e messa in casa famiglia per diverse settimane.

Due giorni dopo la scoperta della gravidanza, sempre secondo l’indagine, Marisol si sarebbe recata insieme alla madre all’ospedale di Santa Caterina per abortire. In Brasile, l’aborto è legale solo in caso di stupro o se la vita della gestante risulta in pericolo.

Tuttavia, nonostante entrambe le condizioni fossero soddisfatte, l’ospedale si è riservato di negare la procedura a Marisol, sostenendo che il limite per interrompere una gravidanza fosse di 20 settimane – falso, perché non è previsto un limite nel codice penale brasiliano.

La decisione è quindi stata rimandata a un giudice, la quale, secondo alcune fonti, avrebbe chiesto alla bambina se “Se la sentisse di rimanere incinta ancora per un po’” e se “Volesse scegliere il nome del bambino e crescerlo insieme al padre, oppure metterlo in adozione”.

Avrebbe inoltre aggiunto che: “La tua tristezza oggi potrebbe diventare l’immensa felicità per una coppia sterile”. E, detto questo, avrebbe deciso che una bambina di 11 anni dovesse portare avanti una gravidanza completa nonostante uno stupro e il concreto rischio per la sua vita.

Naturalmente, la vicenda è venuta subito alla luce, generando un sentimento d’indignazione condiviso da parte dei movimenti femministi brasiliani. Da qui, la nascita degli hashtag #NãoSuportamosMais e #CriançaNãoÉMãe (“Non ce la facciamo più” e “Una bambina non dev’essere madre”).

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Ancora una volta, il Coletivo Juntas ha avviato una petizione per sovvertire la decisione della giudice, e organizzato diverse manifestazioni in tutto il paese per chiedere a gran voce la legalizzazione e la decriminalizzazione dell’aborto almeno in casi come questo.

Fortunatamente, le iniziative hanno avuto successo, e grazie alle oltre 300.000 firme a livello globale, Marisol ha potuto ricongiungersi con sua madre e – finalmente – abortire. Tuttavia, queste vicende sono un monito da cui è necessario imparare.

Caitlin Bernard, minacciata di morte e vittima di mobbing per aver aiutato una bambina ad abortire dopo uno stupro

Stessa situazione, diverso paese invece per le recentissime vicende accadute in America, dove la dottoressa Caitlin Bernard ha subito minacce di morte, gogna mediatica e persecuzioni sul posto di lavoro in Ohaio dopo aver aiutato una bambina di 10 anni ad abortire in seguito a uno stupro.

L’America post RoeVsWade comincia a sorgere e insorgere contro l’autodeterminazione del corpo femminile, anche se si tratta di una questione di vita o di morte.

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L’aborto in Italia è un diritto negato

Sebbene l’Italia ami guardare a questi episodi come figli di una cultura retrograda che ancora fatica ad adattarsi ai tempi moderni, forse, il Brasile e l’America non sono così lontane da noi.

Cosenza è infatti diventata l’ennesima provincia italiana a non garantire il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza dopo che l’unico medico non obiettore di coscienza si è dimesso.

Ad oggi, abortire in provincia di Cosenza significa andare a Castrovillari, dove è disponibile soltanto l’IVG chirurgico e dove anni fa siamo andate personalmente a togliere dal reparto manifesti pro vita che colpevolizzavano le donne che abortiscono. Per il resto, in nessun altro presidio ospedaliero dell’ASP di Cosenza è possibile interrompere una gravidanza, ne chirurgicamente, né farmacologicamente” ha dichiarato FEM.IN, collettivo femminista sceso in piazza dopo l’accaduto.

Ma, come da report di Laiga194, quello di Cosenza non è un caso isolato. Sebbene in Italia l’aborto sia un diritto garantito, come spesso accade anche in questo caso la struttura legislativa vacilla, permettendo a una percentuale sempre più alta di medici di praticare l’obiezione di coscienza.

E non solo: spesso, la scelta è obbligata. Le pesanti discriminazioni subite dai medici pro-aborto fanno sì che essi finiscano con l’arrendersi e unirsi al pensiero comune.

Inolre, la giungla burocratica con cui una persona incinta in Italia deve confrontarsi spesso porta a tempi di svolgimento della procedura lunghissimi, che impattano in maniera devastante sulla salute mentale dell’assistit*.

Anche perché – dopo aver subito più di un rifiuto da diverse strutture ospedaliere pullulanti di obiettori di coscienza – tantissime persone in stato di gravidanza devono anche andare incontro a un’esperienza traumatica, dal momento che a oggi in Italia la tecnica più utilizzata è ancora la Karman, e non l’aborto farmacologico.

Ricordiamo che Karman, finto medico non abilitato vissuto negli anni 40, aveva inventato questa tecnica nel 1955, uccidendo una donna. 

Insomma, mentre guardiamo le barbarie subite dalle bambine in Brasile, in America e in altri Paesi che vediamo così lontani dal nostro, sarebbe anche il caso di difendere i nostri stessi diritti, prima che essi vengano man mano silenziosamente negati.

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