Deumanizzatǝ: quando la vita di unǝ bambinǝ trans vale meno della propaganda di potere

Se nessuno al di fuori della comunità si indigna, l'obiettivo è stato raggiunto.

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Deumanizzare. Una parola che in tempi recenti viene talvolta utilizzata per decostruire la retorica dei movimenti ultraconservatori, ma molto spesso anche fraintesa e oggetto di controversie.

Sì, perché se l’atteggiamento deumanizzante può assumere diverse sfaccettature, la prima cosa che viene in mente nel sentire questa parola è la guerra. Capi di stato che dividono le persone in serie A e serie B per giustificare violenze indicibili su popolazioni inermi.

Il problema nel dare alla deumanizzazione un connotato solenne e intoccabile è intrinsecamente la cancellazione di tutte quelle istanze in cui essa avviene anche in contesti non esplicitamente violenti, invalidando così la lotta alle divisioni nella sua interezza.

Quindi, è bene iniziare a utilizzarla anche quando la guerra è molto più sottile, subdola e suadente alle orecchie di chi riesce a decodificare il mondo solo in bianco e nero.

Deumanizzazione è quando una persona trans è costretta a conoscere a memoria e senza errori ogni passo della letteratura scientifica che valida la sua esistenza, e a rimanere in trincea pronta a sfoderarla al bisogno.

Deumanizzazione è quando la suddetta letteratura scientifica viene messa in discussione, distorta, ignorata e infine messa al servizio della propaganda, per schiacciare una popolazione che è – e qui il cerchio si chiude – declassificata a serie B.

Deumanizzazione è, al suo stadio più terrificante, quando la vita di bambinǝ e adolescenti inizia a valere meno del bisogno di aver ragione a tutti i costi.

Ed è proprio quello a cui stiamo assistendo negli ultimi anni. Un movimento sorto solo apparentemente dal nulla, che guadagna trazione e compattezza parlando in maniera semplice e diretta alla pancia di un mondo confuso ed esausto da pandemie, guerre, crisi economiche, sfruttando una metodologia vecchia come la civiltà, ma sempre efficace: dare la colpa alle minoranze.

Scagliarsi contro chi resta ai margini è l’arma che manca ai movimenti progressisti, e che contribuisce al loro incessante indebolimento. Un obiettivo semplice, comune, difficile da trovare quando le battaglie sono così tante e così multi-sfaccettate. All’interno dei movimenti progressisti si litiga, si dibatte, ci si divide perché è un ambiente vivo, in costante evoluzione. La sua controparte non lo è, ed è questo che gli dà forza in un mondo disinteressato a cercare soluzioni complesse quando i problemi di natura economica soffocano tutto il resto.

È quindi la decadenza occidentale ad averci portato dove siamo. Il conservatore medio sceglie la via più facile e confortevole, usando la logica fallace della tradizione per dire che si stava meglio quando si stava peggio – il “Make America Great Again” di Donald Trump ne è l’esempio lampante. Ma se la spinta ultraconservatrice occidentale moderna trova le sue radici negli Stati Uniti e nella destra suprematista americana, è innegabile che abbia ormai influenza tutto l’Impero Americano.

Nel tardo 2022, si insediava infatti il governo Meloni. In meno di due anni di legislatura, un governo blindato e solidissimo non ha perso tempo ad avviare la propria sfacciata guerra alla comunità LGBTQIA+, aggiudicandosi svariate vittorie.

Le vittime collaterali di questo conflitto non armato sono però proprio coloro che i ministri di questo governo giurano di voler proteggere: lǝ bambinǝ. E già qui vi sarebbero le basi per smascherare l’ipocrisia dietro quelle strategie.

Le prime ad essere colpite furono infatti le famiglie omogenitoriali. Un obiettivo facile, dati i vuoti normativi che le circondano. Il modus operandi della frangia politica ultraconservatrice è infatti quello di appellarsi esclusivamente a normative, regolamenti e linee guida – meglio se sfocate – per tenere saldamente il manico del coltello dalla loro parte.

Anche qui ci troviamo davanti all’ennesima fallacia logica. La legge equivale alla morale? Se fino agli anni 70’ lo stupro coniugale non era considerato un reato, vuol forse dire che esso è stato moralmente corretto fino a quel punto? Se l’omosessualità era considerata una patologia mentale dall’OMS fino ai primi anni 90′, allora lo è effettivamente stata? Se un poliziotto manganella a sangue uno studente durante una protesta pacifica, va bene perché è un arbitro della legge a farlo?

No, perché – e purtroppo non in tutti i casi – la legge va al passo con il progresso sociale e culturale. Che però necessita di capi di stato e istituzioni aperti al cambiamento e che non hanno timore di modificare il paradigma, quando necessario.

L’Italia non è così fortunata. Ed è così che si arriva alla situazione odierna. Ma, attenzione. Non bisogna cadere nell’errore di puntare il dito solo con chi sta attivamente perseguendo una battaglia contro la nostra comunità. Perché nell’ombra, dietro ai pulpiti da cui si ergono gli esponenti più rumorosi del movimento ultraconservatore, c’è l’ignavia delle istituzioni – nazionali e internazionali – che dovrebbero regolamentare con determinazione le tutele alla comunità LGBTQIA+, e che invece accettano passivamente questa carneficina rimanendo inerti e lasciando tutto all’interpretazione. 

L’esempio dell’ospedale Careggi di Firenze ne è la dimostrazione. Nel districarsi tra regolamenti e linee guida sfocate, i professionisti sanitari del Careggi hanno scelto di adeguarsi al progresso sociale e scientifico internazionale – si tratta di una grossa semplificazione, perché la questione è molto più complessa di così. E, per questo, verranno puniti.

Se l’OMS ha finalmente eliminato il transgenderismo dalle patologie mentali, allora l’approccio patologizzante è da abbandonare. Ma se l’approccio patologizzante viene abbandonato, e le terapie vengono somministrate senza stigma – in totale sicurezza dal punto di vista medico scientifico – si sbaglia lo stesso. 

Non importa quanta mole di ricerca scientifica sia dedicata a dimostrare l’affidabilità di farmaci come i bloccanti della pubertà – che agli ultraconservatori piacciono solo quando vengono utilizzati per interrompere uno sviluppo troppo precoce e “imbarazzante” dellə loro figliə: non c’è buon senso che tenga contro ideologie statuarie e contro propagande finalizzate al raggiungimento e mantenimento del potere. L’aggravante è poi quella di una palese incapacità italiana a stare al passo con i tempi. L’Italia è lenta in misura frustrante rispetto ad altri paesi europei. Lasciamo le leggi e le direttive a metà, non le aggiorniamo per anni, rendendole vulnerabili ai capricci della propaganda del potere di turno sulla pelle delle persone.

Eppure qui, lo ripeto, si sta parlando di bambinǝ.

“Se mia figlia smette di prendere quel farmaco, si ammazza”.

Lo ha detto la madre di una bambina terrorizzata dal fatto che, senza che possa fare niente per impedirlo, potrebbe presto perdere il proprio diritto alla salute e all’identità, se la triptorelina – farmaco bloccante della pubertà utilizzato nelle terapie affermative per lǝ minori – dovesse subire in Italia un ban simile a quello imposto in Gran Bretagna.

È volutamente una doccia fredda. Siamo abituati a pensare alla morte di unǝ bambinǝ solo in contesti di guerra e malattia. È un concetto così terrificante che lo abbiamo incasellato in casistiche ben precise e rare per noi, così da tenerlo alla larga.

Ma questo non cancella la strage silenziosa delle persone trans. Ed eccomi, da persona trans e non binaria, a sfoderarvi questa letteratura accademica e scientifica che sono costretto a conoscere a menadito – e non solo perché fa parte del mio lavoro.

Stando ai dati del Suicide Prevention Resource Center – organizzazione statunitense scevra di bias perché non appartenente al movimento LGBTQIA+ – il suicidio è la terza causa di morte nei giovani LGBTQIA+ tra i 15 e i 24 anni di età.

Si stima che tre giovani LGBTQIA+ su dieci meditino o tentino il suicidio, quattro volte più delle loro controparti etero. Ed è questo il problema dei dati. Che sono freddi.

Vediamo quel 15 come un semplice numero, ma proviamo ad immaginare unǝ quindicenne. Mentre, assonnatǝ, sale sul bus per andare a scuola. Mentre chiede ai suoi genitori se può fare tardi il sabato sera.

Quando passa ore ed ore davanti allo specchio, guardando da tutte le angolazioni se quel seno alieno, estraneo, è abbastanza nascosto. Quando online si sente chiamare “sbagliatǝ, scherzo della natura, fr0c10 di m3rd4”. E quando, esaustǝ, prova a rivolgersi agli adulti e alle istituzioni per chiedere aiuto, vedendosi sbattere la porta in faccia anche da loro. Una persona che, a quindici anni, alla linea di partenza, perde la speranza anche solo di qualificarsi.

Ora che abbiamo ben in mente questa immagine, riusciamo a sentire paura? Orrore? Disgusto verso chi contribuisce a tutto ciò?

Risulta francamente patetico cercare oggi di contestualizzare la buona fede di un governo che, in quanto conservatore, pare abbia diritto e persino dovere di distruggere famiglie, procurare terrore nella popolazione verso le identità non conformi e in definitiva accettare di macchiarsi le mani di sangue e morti per un “bene superiore”, per difendere la tradizione cattolica e eterocisnormata del Bel Paese.

È arrivata l’ora, anche per tutti coloro che “non sono interessati alla politica” (e sì, anche di quella fetta di comunità LGBTQIA+ comoda, che non si sente presa in causa), di indignarsi e prendere posizione. Se non sono le vite delle persone trans ad essere tanto importanti da farlo (e mi chiedo come ciò sia possibile), forse l’esempio di una repressione istituzionale così facile da mettere in atto dovrebbe spaventarci.

Per tornare alla deumanizzazione:

Perché quasi nessuno al di fuori della comunità LGBTQIA+ si sta indignando per il trattamento a noi riservatoci?

Abbiamo l’esempio dell’Ungheria, che in pochi anni di governo Orban è passata dall’essere una democrazia liberale a una proto-dittatura ultraconservatrice che fa leva sulla repressione delle identità LGBTQIA+. Persone e identità utilizzate come cavalli di Troia, strumentalizzate per mettere in atto una strategia di smantellamento dello stato liberale, persone LGBTIAQ+ scagliate come armi terroristiche. Ma non vi vergognate di restare in silenzio?

Ora, sia chiaro. Non dobbiamo pensare che questo sia un destino inevitabile. Un mondo più gentile è possibile, ma bisogna lottare per ottenerlo. È sempre stato così.

Il movimento LGBTQIA+ nasce da una rivoluzione, quella di Stonewall. Nasce da una manciata di persone stufe di essere relegate ai margini per “il bene superiore”, dal coraggio di non sapere come andrà a finire e comunque sporcarsi le mani lo stesso.

Ma, soprattutto, nasce da una donna trans. 

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Johnwhite 15.4.24 - 13:57

Spero che il mio commento venga letto nonostante sia passato tempo dalla prima pubblicazione del pezzo. Ho gradito il coming out in quanto persona trans. Cerco di rammentare che il transgenderismo non è mai stato considerato una malattia da nessun manuale diagnostico italiano, nessuno quindi può rimuoverlo dalle patologie mentali. Non sono a conoscenza di tutti i manuali esteri, ma l'articolo è scritto in italiano... in ogni caso non sono a conoscenza di un manuale medico estero che diagnostichi il transgenderismo come malattia. La medicina ha organizzazioni di scala mondiale, la scienza non è diversa da nazione a nazione e in caso si fa ricerca specialistica con grande fatica di costi e commercio. Se posso permettermi, nessuno utilizza la parola transgender in medicina e mai lo farebbe. Non mi sembra che le persone trans nutrino di specifiche mancanze di attenzioni come gruppo e non come singolo addirittura verso fuori la nazione. Mi risulta invece che abbiamo regioni in Italia con leggi molto chiare che considerano il vostro operato.

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italo portesani 10.4.24 - 21:27

Ottimo articolo. Grazie

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