A proposito di consenso, la filosofa Michela Marzano – che abbiamo intervistato qui – ha spesso scritto di recente che cedere non vuol dire consentire. È una frase semplice, di fatto incontrovertibile, e ancora efficace, ancora nuova. Perché, ancora, parlare di consenso significa mettere i piedi sopra un territorio scivoloso. Perché, allo stesso modo, se è vero che «no significa sempre no» è altrettanto vero che un sì non è sempre, automaticamente, il segno di un lasciapassare. Il consenso è un processo, non un semplice avverbio olofrastico.
Lo dimostra molto bene anche How To Have Sex, il debutto di Molly Manning Walker, regista queer londinese dallo sguardo già evidentemente maturo e misurato. Da qualche giorno disponibile anche in Italia su una piattaforma di streaming, il lungometraggio racconta con freddo realismo l’iniziazione sessuale di una giovane inglese, Tara. Nell’estate torrida dei suoi sedici anni, lei – l’unica del suo giro a non avere ancora fatto sesso – parte con Em e Skye, le amiche di sempre, per una di quelle vacanze votate già in partenza al divertimento più impreciso e sommario.
Sull’isola greca che le ospita, le ragazze si atteggiano da adulte, ma si guardano intorno come fossero bambine. Ridono e si gettano nelle folle, ma non comprendono davvero, non capiscono, forse neanche osservano ciò che succede intorno a loro, dentro di loro. Fanno tutto quello fanno, perché sanno di doverlo fare. Così bevono, simulano fellatio a bordo piscina e parlano senza ascoltarsi. È un divertimento, il loro, che non diverte. Dall’altra parte dello schermo, infatti, chi guarda è escluso dal baccanale. C’è qualcosa nel modo in cui Manning Walker costruisce le scene che sembra preparare il terreno alla tragedia. Forse sono i colori aciduli, le cromie psichedeliche che invadono lo schermo e le sclere. Forse è la musica che sovrasta le parole e i pensieri. Forse, ancora, sono i dialoghi lacunosi e claudicanti, le mancate interazioni, gli accenni di disagio rimasti inascoltati. Forse è soprattutto un riattivarsi della memoria, la consapevolezza inammissibile di aver vissuto (o di aver desiderato vivere) una situazione simile. Di essere stati tutti – tutte, ancor di più – seppur in maniera diversa, protagonistə di una messinscena, di quel susseguirsi posticcio di riti di passaggio, di soglie da attraversare per dirsi adultə. Una pantomima, a tratti grottesca e a tratti spaventosa, che indirizza i desideri e le aspettative, che muove i corpi come si muovono le marionette, che cancella le soggettività in nome di una gozzoviglia affollata e informe, che trasforma i sogni in smanie, l’eccitazione in ansia, le gioie in trofei già impolverati. È con questo spirito, dunque, che si partecipa passivamente all’ubriachezza adolescenziale raccontata magistralmente in How To Have Sex. Ed è con lo stesso spirito che si giunge al punto di rottura, al momento capitale che trasforma il presentimento del disagio in certezza dell’inevitabilità, la paura del rischio in pericolo esperito.
Nel suo viaggio verso la perdita di quella chimera che è la verginità – costrutto sociale imposto dall’eteropatriarcato – Tara si allontana a poco a poco dalle amiche per provare a sentirsi paradossalmente più vicina. Le lascia alle sue spalle per provare a essere come loro. Allora, finisce di notte su una spiaggia con Paddy, un giovane conosciuto qualche sera prima e l’epilogo è già tristemente scritto. Il film scivola così verso il suo finale, immobilizzante e tenerissimo, senza essere mai giudicante e didascalico. Manning Walker non prova neanche a spiegare ciò che è inspiegabile, non prova a fare chiarezza nello gnommero della post-adolescenza, ma si limita (fortunatamente) a metterlo in scena, a fotografarlo.
How To Have Sex – mi sembra – è soprattutto questo: un film, splendidamente riuscito, sul consenso e le pressione sociali, che non mette alla gogna chi colpisce e abusa o chi sordidamente manipola, ma che osserva dall’alto e ci trova ancora tuttə impreparatə e silenziosə, miseramente arresə e disarmatə di fronte alle aspettative di un mondo che ci vuole espertə come adulti e inconsapevoli come bambini. Lo fa capire bene Manning Walker: non è che non sappiamo come fare sesso – how to have sex – è che non sappiamo come parlarne. Non abbiamo ancora, come società, trovato le parole. E ogni cosa senza parole, ogni cosa muta e impronunciabile, è una cosa confusa, un fatto pericoloso, una terra biforcuta.
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